ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
I luoghi di Galiana
tra mito e storia
di Andrea Bentivegna
21/05/2016 - 02:00

di Andrea Bentivegna

Un’antichissima leggenda fa risalire la fondazione di Viterbo nientemeno che ad alcuni troiani sfuggiti alla distruzione della loro patria. Come era avvenuto per Roma, creata dai discendenti di Enea, anche la nostra città aveva quindi antenati mitologici.

Sempre questa storia tramanda che i primi abitanti della nostra città, per commemorare la loro nobile discendenza, accudissero e allevassero una scrofa, volgarmente chiamata appunto ''troia''. La venerazione per l’animale era tale che una volta all’anno avrebbero offerto alla fiera persino la vita di una giovane vergine.

Accade poi che un giorno la sorte designò come vittima una fanciulla di nome Galiana. Era bellissima, la più bella della città e pare, sempre secondo la leggenda, che la sua pelle fosse talmente chiara e lucente che quando sorseggiava il vino rosso si potesse intravederne il riflesso rossastro scendere attraverso il collo.

Tutti si disperarono per il destino di Galiana ma nessuno si oppose alla volontà del fato. Quando però fu condotta e lasciata dinnanzi alla scrofa accadde un prodigio: dai boschi fece la sua comparsa un leone che sbranò la ''troia'' consentendo alla giovane di sopravvivere. La gente esultò e da allora, in segno di gratitudine, il leone divenne il simbolo della nostra città.

La Bella Galiana, come è da tutti conosciuta oggi, rimane anche dopo tanti secoli, una delle leggende più amate dai viterbesi. Sono due i luoghi nella Viterbo dei nostri giorni direttamente legati a questo mito. Il primo è la torre che si trova a poca distanza da porta Faul, dove, sempre secondo la tradizione, la giovane fu uccisa. La storia, infatti, dopo la salvezza prodigiosa dalla scrofa, non sarà altrettanto benevola con Galiana. La sua grande bellezza infatti divenne nota a tutti anche oltre i confini della città giungendo sino a Roma. Là un cavaliere, sentendo i racconti, decise di recarsi sino a Viterbo per prendere in sposa la bella ma giunto in città fu rifiutato. Tornò dunque da dove era venuto ma prima di lasciare la città chiese di vedere un’ultima volta Galiana. La giovane si affacciò allora alla una finestra della torre e quando la vide il cavaliere, accecato dalla rabbia e dall’invidia, scagliò una freccia che trafisse la giovane uccidendola.

Per la leggenda quella finestra è la piccola apertura circolare che ancora oggi è visibile sulla torre. La storia, invece, quella ufficiale, basandosi su alcune iscrizioni lì rinvenute, attribuisce la sua costruzione al podestà Corrado del Branca che la eresse nel 1296 finanziandola attraverso i proventi doganali del porto di Montalto. Come ipotizza lo storico Andrea Scriattoli quella che oggi viene scambiata per la finestra dalla quale, per l’ultima volta in vita, fu ammirata la bellezza di Galiana è, con tutta probabilità, una sorta di nicchia nella quale era collocato un antico stemma papale in pietra non diversamente da quelli che ci sono altrove lungo le mura.

Il secondo luogo legato al mito della bella fanciulla viterbese è a piazza del Comune dove, sulla facciata della chiesa di Sant’Angelo in Spatha, alla destra dell’ingresso, è collocato il sarcofago dentro il quale, si ritiene, riposasse il corpo della giovane. Si tratta di una riproduzione esatta dell’originale oggi custodita al museo civico, tuttavia è possibile ammirarne il bassorilievo che decora interamente la superficie marmorea e che raffigura delle scene di caccia. Non è dato sapere chi vi fosse sepolto, ma gli storici sono concordi nell’affermare che si tratti di un sepolcro romano. Le immagini infatti sono quelle della caccia al leone nemeo una tema tipico dell’epoca romana.

Sebbene, dunque, ancora oggi la storia smentisca il mito ai viterbesi, poco importa. Per tutti la Bella Galiana fa parte della storia della nostra città e ne è un simbolo tanto quanto il leone con la palma e per una volta, gli storici, è bene che si adeguino.





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